Oggi non parlo di quelle civili ma di quelle penali, auspicando che qualcosa da domani possa cambiare in Emilia-Romagna e in Veneto, da cui ogni giorno mi scrivono tantissimi lavoratori.
PREMESSA PER I LAVORATORI
Quindi, per prima cosa, se siete un lavoratore e vi rendete conto che il Protocollo tra Governo e parti sociali del 14.3.2020 non è applicato (qui l’articolo che ho pubblicato qualche giorno fa che reca una sintesi degli aspetti più salienti), segnalate subito la cosa (meglio se per iscritto) ai Rappresenti per la Sicurezza sul Lavoro e allo SPISAL, affinché possano intervenire sul posto per verificare quanto sostenete e apportare dei correttivi, laddove sia possibile.
Se non è possibile, è evidente che l’azienda non è in sicurezza e non può continuare a restare aperta.
State calmi, perché non è colpa vostra se non si può lavorare e non rischiate nessun licenziamento.
Anzi, potrebbe essere lecito il rifiuto a svolgere la prestazione di lavoro in ambiente nocivo (art. 1460 c.c.).
LE Responsabilità DEI DATORI
Attuatele nel modo migliore possibile perché potrebbero davvero escludere o limitare la responsabilità, poiché in caso di condanna penale non solo sarete condannati alle pene previste dal Codice penale, ma dovrete anche risarcire i danni ai lavoratori lesi o ai loro eredi, che si costituiscono parte civile nel processo penale.
La responsabilità penale
In questi casi, la persona lesa – cioè il lavoratore – deve dimostrare due cose: che il contagio è avvenuto nell’ambiente di lavoro e che è avvenuto a causa della mancata adozione delle misure di prevenzione da parte del datore di lavoro.
In questi casi, il datore di lavoro ha una colpa specifica: prima ancora che l’inosservanza delle nuove norme emanate dal Governo in queste settimane, risponde per inosservanza delle disposizioni del D. Lgs. 81/08 e, in particolare, dell’art. 18 che, tra gli altri, pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di:
- fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale (tra cui ci sono anche guanti e mascherine), sentito il RSPP e il Medico Competente;
- richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza e igiene sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione;
- adottare misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza;
- informare i lavoratori dei rischi e delle disposizioni prese in materia di protezione;
- astenersi dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un rischio grave e
Ci sono poi eventualmente altre colpe specifiche in capo al datore di lavoro: omessa o insufficiente vigilanza sanitaria (art. 41 D. Lgs. 81/08), o in relazione alla violazione dell’obbligo di effettuare la valutazione dei rischi (art. 17 D. Lgs. 81/08) e, in particolare, della valutazione del rischio biologico (art. 271 D. Lgs. 81/08).
Merita una menzione a parte anche l’obbligo del datore di prevenire i rischi interferenziali (art. 26 D. Lgs. 81/08): in questo caso la colpa specifica del datore si ha quando non abbia introdotto misure di prevenzione volte a regolare e disciplinare l’accesso da parte dei terzi (es. fornitori, appaltatori) ai luoghi di lavoro.
Qui possiamo aprire una parentesi perché è opportuno che il committente, ossia il datore di lavoro, verificasse che la ditta appaltatrice abbia a sua volta adottato un sistema di misure a prevenzione del rischio da contagio dei propri lavoratori.
Questo significa che il datore, se vuole davvero stare più tranquillo, deve adottare ulteriori misure nei confronti dei soggetti terzi, quali la richiesta di autocertificare, l’adozione di misure di prevenzione o la stretta regolamentazione degli accessi presso i siti della società.
Nel prossimo articolo vi parlerò delle conseguenze delle violazioni del Codice e delle responsabilità in capo alle Società.
A presto!
Avv. Annarita Bove
Dottore di Ricerca in Diritto delle Relazioni di Lavoro – Università di Modena e Reggio Emilia – Fondazione M. Biagi