Vediamo la disciplina della protezione dei dati in riferimento all’acquisizione di informazioni relative allo stato di salute di dipendenti e terzi.
La disciplina della protezione dei dati
- la misurazione della temperatura corporea dei dipendenti e dei terzi per accedere all’azienda;
- l’acquisizione di informazioni relative a provenienza o contatto con persone infette;
- la registrazione di tali informazioni a giustificazione del rifiuto di accesso in azienda.
Ci sono comunque dei limiti posti a tutela di riservatezza e dignità degli interessati di cui abbiamo nei giorni scorsi già parlato, commentando i principi esposti dal Garante nel provvedimento del 3 marzo 2020 e che richiamiamo, in quanto sono ancora validi.
Quindi non sono ammesse pratiche “fai da te” nella gestione dell’emergenza.
La legittimità del trattamento dei dati poggia sull’art. 9 paragrafo 2 lettera i) del GDPR, che giustifica il trattamento dei dati sanitari per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza nell’assistenza sanitaria.
1) MISURAZIONE DELLA TEMPERATURA CORPOREA
Perciò, il titolare del trattamento potrebbe adibire specifici locali aziendali per effettuare tale operazione, evitando così di violare la privacy del soggetto controllato. Anche la comunicazione del dato relativo alla temperatura corporea rilevata è sottoposto a garanzia di riservatezza, evitando che possa essere conosciuto da soggetti estranei o non autorizzati.
L’informazione acquisita (temperatura corporea) va registrata solo nei casi in cui occorra documentare le ragioni che comportano l’impossibilità di accesso in azienda (temperatura superiore a 37,5 gradi).
Quindi, se la rilevazione della temperatura da esito negativo, l’informazione non va registrata.
Se la rivelazione da esito positivo (superiore a 37,5 gradi) va registrata e il soggetto non può entrare in azienda.
Se tale condizione deriva da persone già presenti in azienda, a queste vengono fornite mascherine e vengono isolate.
L’isolamento deve avvenire in modo da rispettare riservatezza e dignità delle persone e lo stesso dicasi anche quando sia il dipendente ad informare l’azienda.
2) OBBLIGO DI INFORMATIVA
Un modo per informare preventivamente può essere quello di apporre cartelli informativi in zona visibile e vicino all’ingresso dell’azienda.
Se invece il datore vuole raccogliere autocertificazioni di lavoratori e terzi attestanti l’assenza di contatti negli ultimi 14 giorni con persone infette o provenienti dalle già menzionate zone a rischio, deve rispettare la disciplina sulla protezione dei dati (deve perciò dare l’informativa indicante le modalità di trattamento e la finalità di emergenza che giustifica il trattamento dei dati, limitandosi a raccogliere solo i dati strettamente necessari e non informazioni aggiuntive – principio della minimizzazione-).
3) ADOZIONE DI MISURE DI SICUREZZA
Queste misure tecniche servono a evitare un danno fisico, materiale o immateriale in capo al soggetto esaminato (lavoratore o terzo). Il datore perciò dovrà garantire modalità di comunicazione cifrate, la minimizzazione del trattamento (solo i dati necessari e non quelli eccedenti la necessità), l’archiviazione separata rispetto ad altri dati).
Vanno poi definite le misure organizzative e perciò occorrerà individuare i soggetti preposti al trattamento e fornire loro le istruzioni necessarie.
Designando tali soggetti si potrà monitorare il legittimo flusso delle informazioni negli ambiti degli uffici e garantire che il trattamento avvenga nel rispetto della dignità dell’interessato.
Il datore quindi può venire a conoscenza dello stato di salute del dipendente, ma solo nelle modalità previste dalla legge: art. 5 dello Statuto dei Lavoratori (che vieta gli accertamenti da parte del datore) e D.lgs. n. 81/2008 (demanda tali accertamenti al Medico Competente).
Sono vietate iniziative “fai da te”.
Avv. Annarita Bove
Dottore di Ricerca in Diritto delle Relazioni di Lavoro – Università di Modena e Reggio Emilia – Fondazione M. Biagi